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Salone del libro: Carmelo di Gesaro intervista il Prof. Stefano Mancuso.

2024-05-23 09:06

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Cultura, In evidenza, In evidenza oggi,

Salone del libro: Carmelo di Gesaro intervista il Prof. Stefano Mancuso.

Una ricetta per raffreddare le nostre cittàDal Salone del Libro di Torino, l’intervista al Prof. Stefano MancusoDi Carmelo Di Gesaro  In Italia, il Sa

Una ricetta per raffreddare le nostre città

Dal Salone del Libro di Torino, l’intervista al Prof. Stefano Mancuso

Di Carmelo Di Gesaro

 

 

In Italia, il Salone Internazionale del Libro di Torino è sempre più un evento mondano che, tuttavia, mantiene nel suo DNA la sacra centralità del libro. Questa vocazione modaiola sposta spesso l’attenzione verso il “chi” sarà presente alla rassegna, più che sui contenuti e gli argomenti che si presentano. Ad ogni modo, acquistare un biglietto, fare ore e ore di fila indifesi davanti agli eventi atmosferici fuori controllo, e litigare all'ultimo momento per accedere all’incontro che aspetti da mesi, ha sempre un sapore meraviglioso.

 

I motivi, chiaramente, sono diversi e, dal mio punto di vista, almeno due sono fondamentali. La prima ragione è che si possono comprare decine e decine di libri in una sorta di paradiso erotico della carta. La seconda è che, oltre a poter acquistare le opere preferite, hai pure la chance di fartele autografare dal tuo scrittore o dall’ autrice del cuore. Questo di fatto trasforma un po' tutti, e dico tutti, anche noi che abbiamo superato abbondantemente i quarant’anni, in delle groupies davanti a Simon Le Bon ai tempi d’oro. Certo, a patto che tu sia disposto a farti file sotto una pioggia devastante o sotto la pressione del sole cocente.

 

In ogni caso, un’ulteriore motivazione può arrivare dalla possibilità di ottenere uno sconto vantaggioso anche sugli autori più conosciuti. Se infatti riesci ad arrivare vivo al lunedì, cioè l’ultimo giorno di apertura al pubblico della fiera, puoi avere l’opportunità di concludere diversi affari. Tipo il 3x2 sulle case editrici meno note o il 20% dalle più famose. Ovviamente, sempre che tu riesca a raggiungere  quella data con qualche soldo in tasca. Sì, perché una delle cose “che nessuno vi dirà mai” è che a Torino in quei giorni quasi tutto costa il doppio, se non il triplo. A partire dagli hotel, risicati e con matrimoniali che partono da 100€ a notte, per finire al cibo venduto all’interno del Salone, dove un gelatino delle dimensioni di una scatola di sigarette quest’anno partiva da 3.50€. Ecco, non proprio prezzi popolari. Il che lascia spazio alla classica domanda retorica che siamo soliti farci noi salottieri: “ma la cultura non doveva essere accessibile a tutti?”. Sì, ma non sembra essere questo il caso. Tuttavia, fa sempre piacere assistere alla grande partecipazione che assicurano le scuole e gli insegnanti, sebbene io non abbia i dati di provenienza. Dubito, invero, che dalla Sicilia e dalla Calabria si spostino con la stessa facilità con cui arrivano dalla Lombardia e dalle altre città del Piemonte. In ogni caso, le oltre 200mila persone che vi hanno preso parte sono sempre un qualcosa da considerare in positivo.

Mettendo da parte ulteriori considerazioni, il mio Salone ha raggiunto alcuni degli obiettivi che m’ero prefissato prima della partenza. Tra questi, intervistare per il mio podcast “Diario di un disoccupato di William Galt” alcune personalità della scrittura, cercando ad esempio di ottenere uno scambio di battute col professor Stefano Mancuso.

 

Stefano Mancuso, per chi non lo sapesse, è una dei massimi esperti di botanica del mondo e, tra le tante attività che lo riguardano, un saggista di grandissimo livello nonché divulgatore eccezionale. Ha partecipato al Salone del Libro di quest’anno presentando diversi testi, tra cui “Fitopolis, la città vivente” per Laterza editore, “Il favoloso mondo delle piante” per Aboca edizioni ma anche il suo podcast “Di sana pianta” prodotto da Chora Media. Manco a dirlo, se non li avete ancora comprati o non avete ascoltato le puntate, è arrivato il momento per farlo!

Questo perché il sapere del professore investe buona parte della nostra esistenza, con particolare attenzione a ciò che ci circonda e a quella che chiamiamo natura. Le piante, infatti, sono la principale ragione del suo lavoro e a queste è dedicato tutto il suo sforzo divulgativo. Fate attenzione però: sia nell’uno che nell’altro caso, non vi troverete davanti alla spiegazione di come si cura un giardino o come si piantano i pomodori. No, le lezioni del professor Mancuso sono delle vere lectio magistralis sull’importanza che le piante hanno per la nostra sopravvivenza sulla Terra. Vanno affrontate come ricette vere e soluzioni possibili, ad esempio, per contrastare il cambiamento climatico, raffreddare le nostre città o tutelare il bello che ci offre questo pianeta. 

 

Animato da questo spirito, dunque, ho tentato di approcciare l’autore con l’obiettivo di trovare un momento per fargli alcune domande che desideravo inserire nel mio podcast. Per riuscirci, ho dovuto pazientare un po'. Cionondimeno, dopo una serie di tentativi falliti e solo dopo aver assistito alla presentazione de “Il favoloso mondo delle piante” e l’infinita attesa del tradizionale firma copie, sono stato ammesso alla corte per una chiacchierata. 

Con onestà, ammetto sin da subito che la lista di domande che avevo preparato da giorni è stata la prima cosa a cui ho dovuto rinunciare. I tempi ristretti del Salone e la quantità di attività cui sono sottoposti gli scrittori “di grido” non rendono facile la partecipazione ad ulteriori impegni, specialmente quando gli intervistatori non hanno alle spalle editori e redazioni di cartello. Tuttavia, la fatica è stata ripagata dalla disponibilità che lo stesso Mancuso ha dimostrato nei miei confronti e perciò eccoci qua.

 

D. Buongiorno Professore e grazie per la disponibilità. Intanto parto da una riflessione. Lei propone spesso come ricetta e soluzione al cambiamento il fatto che le macchine debbano essere sempre meno in favore di nuove strade popolate da alberi. Lo dice dalla città di Torino, che è la città dell'auto per eccellenza.

R. “Sì, beh sì, lo dico da Torino, che dall’essere stata la città dell'auto dovrebbe diventare la città post-auto. Io credo, anzi, sono fermamente convinto che l'unico modo per raffreddare le nostre città passi dalla rimozione di una parte significativa dell’asfalto in favore degli alberi. Raffreddare le città infatti diventerà presto il nostro problema fondamentale, in verità lo è già, ma nei prossimi anni diventerà sempre più pressante. Non si può risolverlo in altra maniera che togliendo superficie alle strade per darla agli alberi. Quindi, togliendo queste strade, togliendo l'asfalto, e al loro posto, arrivare a delle vie di alberi. Dobbiamo arrivare a una quantità molto elevata di alberi nelle città che raffredderebbero il tutto. Questa è l'unica maniera che conosciamo per raffreddare un ambiente come quello urbano.”

 

D. A proposito degli alberi, lei soprattutto nell'esperienza podcast che sta seguendo con Chora media fa spesso riferimento al fatto che gli alberi siano anche il simbolo della resilienza dell’umanità e della vita sul pianeta Terra. Una di queste storie che mi ha colpito particolarmente è quella dell'albero Falcone, che oggi vive in grandissima difficoltà, ed è stato spogliato, insomma, di tutti gli altri simboli che rappresenta, proprio perché in pericolo.

R. “Guardi, gli alberi della libertà sono una costante della storia umana, perlomeno dalla rivoluzione americana in poi. L'albero è sempre stato un simbolo di libertà, anche prima direi. Dalla rivoluzione americana e poi da quella francese in poi, ci sono stati alcuni alberi specifici che sono diventati dei simboli della lotta e della resistenza dei popoli.

In Italia, a Palermo, abbiamo questo straordinario esempio dell'albero di Falcone, un ficus che cresce lì in via Notarbartolo, esattamente fuori dal palazzo, fuori dal cemento, fuori da un quadrato di cemento, fuori dalla casa dove abitava il giudice Falcone. Ed è un albero enorme che davvero simboleggia, con la sua stessa presenza in un luogo del genere, la capacità di resistenza e di lotta, direi così, di un popolo. Dalla strage di Capaci in poi, quell'albero è diventato proprio il luogo in cui si raccoglievano le persone ogni anno per ricordare e per commemorare quel terribile attentato, per appendere all'albero, come dire, una specie di ex voto laici. Insomma, era un simbolo ed è un simbolo fondamentale. Andrebbe curato. Non si può lasciare in quelle condizioni. Non si può sicuramente pensare che un albero talmente importante vada incontro a una fine non degna.”

 

D. Il fatto che oggi quest’albero stia così male è la fotografia di un declino?

R. “No, non lo so. Non lo so. Se è la fotografia… ma, non è un bel segno. Però, ecco, il segno importante è che sia un albero così potente, così capace di risolvere problemi, da rompere l'asfalto, da espandersi, da piegarsi per riuscire a crescere oltre i balconi e il palazzo. È veramente una forma di resistenza personificata. Io mi auguro, davvero mi auguro, che faremo di tutto per mantenerlo. E spero che davvero non diventi un simbolo al contrario: della sconfitta, di questa voglia di rinascita”

 

D. Grazie è stato gentilissimo

R. “Grazie a lei”

 

Se vuoi ascoltare la puntata del podcast del “Diario di un disoccupato” segui questo link:  https://www.spreaker.com/episode/diario-s1-g30-7-secondi-d-applauso-al-niente--56683990

 


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